1. Può presentarsi?
Mi chiamo Davide Petruzzelli e sono il presidente della Lampada di Aladino (associazione che assiste i malati, ex malati, familiari, caregiver e lungosopravviventi oncologici), ma sono anche un ex paziente onco-ematologico, trattato tra il 1996 e il 1999. All’epoca, le cure erano molto più invasive rispetto a quelle attuali, lasciando spesso sequele significative e con un numero di guariti decisamente inferiore rispetto a oggi. Dopo aver completato il mio percorso di cura, ho fondato, appunto, l’associazione La Lampada di Aladino, che ormai ha quasi 30 anni di attività.
2. Ci racconterebbe la sua esperienza come presidente della Lampada di Aladino?
La Lampada di Aladino è nata con l’obiettivo di fornire supporto socio-assistenziale alle persone che vivono l’esperienza oncologica. Col tempo, l’associazione ha ampliato la sua missione, sviluppando una seconda anima dedicata all’advocacy verso le istituzioni.
La nostra sede, alle porte di Milano, è un punto di ascolto per i bisogni emergenti legati ai nuovi scenari terapeutici. Questi bisogni vengono poi riportati alle istituzioni, in particolare al Parlamento e al Governo, per promuovere il miglioramento delle politiche sanitarie.
Ho anche altri ruoli: sono vicepresidente della Fondazione Aiom, che si occupa di comunicare tra il mondo scientifico e le associazioni di pazienti, e rappresento F.A.V.O., la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia, che raggruppa numerose associazioni sul territorio italiano.
Per me, però, tutto questo non è solo un lavoro, ma una missione di vita. Sono un lungo sopravvivente, l’ultimo dei 33 ragazzi con cui ho iniziato questo percorso. Questo mi spinge ogni giorno a continuare la mia battaglia. Morirò facendo questo lavoro, spero a 97 anni, ma fino a quel momento sarò ancora sul treno, avanti e indietro, per combattere queste battaglie.
L’associazione offre ai pazienti che lo richiedono un’ampia gamma di servizi attraverso un poliambulatorio dove oncologi, ematologi e specialisti in medicina integrata lavorano insieme per assisterli durante e dopo il trattamento oncologico. Inoltre, l’associazione offre servizi di riabilitazione e di benessere come ad esempio corsi di Tai Chi, antica disciplina cinese che combina movimento, respirazione e meditazione per promuovere il benessere fisico e mentale.
3. A partire dall’innovazione già in atto, come immagina il futuro della medicina?
Il futuro della medicina è in continua evoluzione, soprattutto per quanto riguarda i tumori del sangue. Le innovazioni terapeutiche, che solo pochi anni fa rappresentavano una svolta, ora stanno aprendo la strada a trattamenti ancora più avanzati. L’innovazione sta cambiando la storia delle malattie.
Tuttavia, la vera sfida risiede nel modo in cui ci prendiamo cura delle persone, garantendo un approccio centrato sul paziente.
Un concetto che mi piace portare sempre è quello della cronicizzazione, che era controintuitivo nel mondo oncologico. Fino a poco tempo fa, si viveva e si moriva di una patologia oncologica.
Oggi, invece, cronicizziamo: mettiamo i pazienti nella condizione di convivere con la malattia, soprattutto nelle patologie degli anziani, come la leucemia linfatica cronica o il mieloma multiplo. Questo porta a un nuovo tipo di guarigione, dove i pazienti, pur convivendo con la loro malattia, possono morire per altre cause e non per la patologia oncologica di base.
Per migliorare la qualità della vita dei pazienti, è necessario liberare gli ospedali da alcune procedure che potrebbero essere gestite sul territorio, in collaborazione con i medici di base e le case della comunità.
Abbiamo bisogno di un approccio che metta al centro il benessere del paziente, non solo in termini di quantità, ma anche di qualità della vita. Innovare significa anche rendere la cura più accessibile e sostenibile per tutti.