Sono cresciuta in Sicilia e sono tornata a Milano nel ’99, proprio lì dov’ero nata 26 anni prima, rispondendo a un’inserzione sul Corriere della Sera. Da allora non me ne sono mai andata e non ho mai pensato di farlo. L’azienda mi ha sempre dato molto. Questo è un luogo che non si frequenta solo per lavorare, ma anche per crescere.
Un’azienda vicina ai suoi lavoratori, soprattutto alle donne. È molto attenta alla loro salute, e proprio nel corso di un check-up ho scoperto di avere un tumore al seno. Dopo l’intervento sono tornata subito al lavoro. L’ambiente di ufficio mi serviva per continuare a vivere come una persona, non una malata. Gli esseri umani restano persone, anche nella sofferenza.
Non nascondo di avere avuto momenti di sbandamento. Per una donna, il tumore al seno è una specie di tarlo che lavora in profondità nella psiche, oltre che nel fisico. Oggi, quando guardo la mia cicatrice, vedo da un lato il segno del bisturi che mi ha salvato la vita, dall’altro una lacerazione che ha ancora il potere di farmi sentire a disagio. Diciamo che nella malattia si naviga a vista, tra alti e bassi, mareggiate e calme piatte. Perdere la bussola è molto facile.
Però il tumore mi ha reso più forte, più sicura di me. O meglio, mi ha insegnato a pensare di più a me stessa. Ho imparato a volermi bene per ciò che sono. Sono rimasta una persona attiva e non aspetto che qualcuno mi segua a teatro, al cinema, alle mostre o ai concerti. Pratico molti sport come la danza, il nuoto e recentemente mi sono avvicinata alla corsa, partecipando a diverse iniziative benefiche. Ho anche ripreso a scrivere poesie, una mia grande passione fin da ragazza. E poi la musica, la pittura, il volontariato. La sofferenza personale è una grande scuola di vita che insegna a comprendere le sofferenze degli altri. Aiutare il prossimo è un modo privilegiato per aiutare sé stessi.
Il tempo che scorre è la mia preoccupazione. La malattia, la paura, il dolore, la ricerca di un nuovo equilibrio interiore hanno modificato la mia percezione del tempo. Ho capito che è il dono più prezioso che riceviamo, un tesoro di cui siamo custodi. Non lo possediamo, ma è nelle nostre mani. Siamo noi che decidiamo come viverlo.
Cerco di non essere mai passiva di fronte al suo fluire. Più serena di un tempo e più rilassata. Soprattutto mi concentro sull’eliminazione del superfluo. Basta così poco per essere felici, ma di “quel poco” occorre molta consapevolezza. Siamo circondati di cose futili a cui attribuiamo un valore eccessivo. La ricerca della felicità è un cammino che procede per sottrazione.
Il mio fiume sta scorrendo
il mio sangue si sta asciugando
il mio sole ormai si è spento
e la luna è in ritardo.
Tutte le voci sono svanite
e gli uccelli non cantano più
le foglie ormai secche
scivolano lontano.
La mia pelle ormai è umida
e i miei occhi brillano forte.
Tutto questo sembra strano
ma è il mio mondo
in un sogno avverato.
- Jasmin -